Semplificare a tutti i costi serve davvero?

Semplificare o banalizzare

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Tutti spingono per semplificare. Deve essere più semplice, più chiaro, più diretto. Non mettere un range, metti un numero secco. Non mettere paroloni, che poi la gente non capisce. Non mettere le ipotesi, poi sembra complicato.

Ma – spoiler: le cose spesso sono complicate. Certo, è utile cercare di rendere le cose semplici per introdurre gli argomenti a chi non ha esperienza, ma fermarsi al primo livello di semplificazione è rischioso, e in alcuni casi pure controproducente.

Semplificare è umano

Tutti noi quando cerchiamo di capire qualcosa tendiamo a semplificare. E’ un effetto del sistema 1, il nostro pilota automatico.

Il sistema 1 è quello che interviene senza il nostro controllo. Se dico 2+2, non puoi che pensare 4. Se dico Non pensare ad un elefante in bicicletta, il pilota automatico visualizza un meraviglioso elefante in bici.

Il sistema 1 mentre non pensa ad un elefante in bicicletta.

Questo pilota automatico è lo stesso che mette in atto una serie di escamotage per salvarci nella savana selvaggia. Uno di questi escamotage è cercare schemi e correlazioni tra fatti ed eventi, in modo da trovare un fil rouge. E lo fa così bene che spesso trova correlazioni anche dove non ci sono (vi ricorda qualcosa?)

Visto che il sistema 1 non si può spegnere, si gli vengono fornite informazioni non complete o semplificate, le recepirà come fossero complete e cercherà di riempire i buchi con cose che ha sentito da altre parti o che ha capito in altri contesti.

Rischioso, soprattutto se parliamo di AI, su cui si scrive tutto e il contrario di tutto.

So di non sapere

Il sistema 1 in particolare genera una serie di distorsioni cognitive, come l’effetto WYSIATI (what you see is all there is) e l’effetto Dunning-Kruger.

L’effetto Dunning-Kruger. Chi ha una competenza oggettivamente bassa, si percepisce mediamente con un grado di competenza più alto.

Quest’ultimo in particolare è facile da attivare e genera mostri. Se ti spiego una cosa omettendo le complessità, automaticamente il sistema 1 recepisce le cose semplici come le uniche che esistono, e la persona avrà una percezione della sua competenza molto alta rispetto a quello che effettivamente significa essere competenti in quel campo.

Pensare di aver capito tutto ci spinge a costruirci aspettative rispetto ad un tema, tipo le potenzialità dell’intelligenza artificiale, che potrebbero essere tradite dalla complessità delle cose reali.

Semplificare o banalizzare?

Quando però si parla di soluzioni complesse, se si vuole entrare nel merito delle cose e capirle per davvero, bisogna avere la volontà di andare più a fondo. Alcune cose, semplicemente, non si possono semplificare.

Certo, posso banalizzare alcuni concetti, tramite metafore o similitudini. Ma cosa capisce chi sta dall’altra parte? 9 volte su 10 la cosa sbagliata. Perché chi semplifica ha ben presente il quadro più ampio, ma chi riceve il racconto semplificato o banalizzato senza sguardo oltre al concetto semplice, non sa che esiste un mondo dietro. Per lui c’è solo quella cosa banale e semplice. E quindi su quello il sistema 1 costruisce una serie di aspettative sul progetto o su quanto si può fare.

I risultati della banalizzazione

E cosa succede se ho aspettative altissime perché non ho capito davvero cosa c’è dietro, e queste aspettative vengono tradite? Perdo fiducia nei progetti, e alla fine li metto da parte per tornare nella comfort zone delle cose che funzionano come ho capito che funzionano.

Nel settore dell’AI questo meccanismo deleterio fa affondare moltissimi progetti. CEO delusi, capi progetto frustrati, sviluppatori disperati, data scientist latitanti, tutto perché qualcuno ha semplificato le cose e ha messo un numero secco senza contesto o ipotesi al contorno nella proposta iniziale. Ne vale davvero la pena?

The greatest enemy of knowledge is not ignorance, it is the illusion of knowledge.

Stephen Hawking

What can we do?

Partiamo semplici e addentriamoci nella complessità. Magari non per forza per capirla, ma per sapere che esiste. I concetti devono per forza essere presentati in modo semplici e comprensibili, se no si cade nell’elitarismo che caratterizza la ricerca accademica – o hai le competenze per leggerti un paper in inglese, oppure col cavolo che riesci a capire di che si parla.

Però, il concetto presentato semplice può essere approfondito mostrando le ipotesi che lo rendono semplice, i casi in cui la semplicità decade, e le sfumature che vengono appiattite dalla semplificazione.

Piantiamola di rifuggire le cose complesse. Abbracciamo la complessità, cercando di andare oltre il numero secco e l’elenco sintetico. Certo, quelli sono strumenti utili, ma non possono essere le uniche cose che vengono condivise e raccontate.